source : 2014.01.23 WIRED.IT (ボタンクリックで引用記事が開閉)
Così fan tutti. Questa la difesa del Giappone, tramite Yoshinobu Nisaka, governatore di Wakayama, rispetto alla mattanza di delfini che ogni anno indigna il mondo. E ha ragione.
I branchi dei simpatici mammiferi vengono portati nella tristemente nota Baia di Taiji, nel distretto di Wakayama appunto, e lasciati morire dissanguati con un uncino conficcato nella spina dorsale. Il delfino in Giappone è un piatto tradizionale, e anche il sistema di pesca fa parte della tradizione. Nisaka ha chiesto a chi punta il dito (tutto il mondo occidentale: dall’ambasciatrice americana a Tokyo, Caroline Kennedy, a Yoko Ono, americanizzata vedova di John Lennon, fino al compatto popolo di Twitter, tramite gli hashtag #tweet4taiji, #HelpCoveDolphins e #tweet4dolphins) come mai i delfini sì e le mucche o i maiali no (visto anche che il delfino non è a rischio estinzione). “La cultura alimentare varia – ha detto – ed è saggezza delle civiltà il rispetto reciproco dei punti di vista. Viviamo sulla vita di mucche e maiali. Non è il caso di dire che solo la caccia ai delfini sia disumana“. Tra l’altro, pare che le tecniche di macellazione usate, ovvero il taglio del midollo spinale con un uncino di ferro, eviti o comunque minimizzi le sofferenze dell’animale. Cosa che non si può certo dire degli allevamenti industriali occidentali, dove la vita di galline e vacche non merita alcun rispetto. Possiamo dunque parlare, noi Occidentali, prima di aver risolto le nostre mattanze? Non credo, fermo restando che probabilmente in un mondo perfetto nessuno dovrebbe mangiare carne, e il diritto a una vita libera dovrebbe essere esteso ai vegetali.
È vero, il delfino è considerato un animale nobile: è intelligente e amico dell’uomo. Alcuni Paesi lo hanno sancito “persona” per legge, persona non umana, ma che comunque merita il diritto alla vita e alla libertà: non possono essere neppure sfruttati nei parchi acquatici (che invece abbondano da noi, con orche e delfini a lanciarsi la palla per tutta la “vita” in una piscina).
Sia come sia, la mia domanda è la seguente: è forse l’intelligenza a rendere una vita più meritevole? Se anche così fosse, perché difendere i cani? La scienza li considera meno intelligenti delle oche, eppure i cani hanno diritti che gli altri animali non hanno, come pure i gatti. Mi è capitato di vederli macellati in giro per il mondo, storditi con un bastone e poi appesi a sgocciolare sangue. E sì, ne ho sofferto: ho sempre avuto cani e gatti, sono cresciuta in campagna e mia madre è contadina. Però ho avuto anche caprette, pulcini, anatroccoli e mucche. E vederli morire – vi assicuro – non è meno atroce. O pensate forse che la mucca sia stupida, e non meriti rispetto perché non scodinzola al suo padrone? Neppure questo è vero, e se conoscete le mucche sapete che l’espressione sguardo bovino è priva di fondamento. Se ti prendi cura di loro, e le allevi al vecchio modo, le mucche, ognuna con le proprie sfumature di carattere, ti fanno le feste a vederti arrivare, parlano con gli occhi, a musate e a colpi di coda. Più che con i conigli o i polli, al momento di macellarle mia madre qualche volta si commuoveva: le conosceva una a una, sapeva le loro preferenze e capiva il loro stato d’animo. Non per questo ha preferito cambiare lavoro e comprare la carne bella pulita e ridotta in confezioni di plastica al supermercato.
Perché è questo il problema di fondo: vediamo tante immagini di Taiji ogni anno, ma troppo poche delle nostre mucche. Del resto, a mucche e maiali nessuno ha mai dedicato una serie tv, l’hamburger è il nostro piatto tipico e di cosa dobbiamo indignarci ce lo insegnano ancora e sempre gli Stati Uniti, mica la Cina o il Giappone.
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